L'albero delle arance amare by Jokha Alharthi

L'albero delle arance amare by Jokha Alharthi

autore:Jokha Alharthi [Alharthi, Jokha]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 2023-10-07T00:00:00+00:00


SIMPATIE

Mia nonna Athurayya e Bint ‘Amir provavano una profonda simpatia reciproca. Tanto più le mani di Bint ‘Amir affondavano nella terra per piantare alberi, tanto più impastavano la farina, infornavano il pane e strofinavano il corpo di Mansur con la luffa e il sapone, tanto più Athurayya si staccava dal suolo, si librava nell’aria fin quasi a diventarne parte, levitava con il suo tappeto da preghiera come fosse un fantasma. Bint ‘Amir, affondando i piedi nel fango, tirava su i muri portanti della nostra famiglia, e Athurayya intanto ascendeva al cielo alla ricerca di un mondo di pura spiritualità. Athurayya incideva amuleti per tenere lontana la febbre dai bambini e scioglieva lo zafferano nell’acqua per decorare con versetti coranici dei piatti bianchi da cui le donne in travaglio dovevano bere. In molti la cercavano per farsi curare e lei offriva il suo aiuto in silenzio, senza chiedere niente in cambio perché la ricompensa cui aspirava era nei cieli e non di certo su questa terra.

Bint ‘Amir si legava foglie di palma sotto la pianta dei piedi con dei lacci di vimini per sfuggire ai morsi del sole di mezzogiorno, si posava l’anfora di argilla sulla testa e, tenendola in equilibrio, andava al falaj ad attingere l’acqua, con Mansur che la seguiva ovunque e ormai era abbastanza grande da sfoggiare tutto fiero le decine di specchietti rotondi che decoravano i bordi dei suoi gilè di panno a ricami dorati fatti arrivare dall’India espressamente per lui; per provocarla, catturava i raggi del sole con i suoi specchietti e glieli puntava contro l’occhio sano, ma lei proseguiva imperterrita per la sua strada senza che l’anfora vacillasse nemmeno per un secondo e allora lui, quando alla fine si stancava di provare inutilmente a farla arrabbiare, la superava e correva a casa; lì, sua madre Athurayya aveva appena finito di fare le abluzioni per la preghiera di mezzogiorno e, infilati i suoi morbidi piedi negli zoccoli di legno di Zanzibar, attraversava il cortile per ritirarsi nella saletta da preghiera dove sgranava il rosario mentre aspettava il richiamo del muezzin; a quell’ora, suo padre Salman, che aveva già chiuso il negozio e si apprestava a fare il riposino pomeridiano, lasciava correre se lui, Mansur, gli sgraffignava i cristalli di zucchero che teneva in una scatola di metallo con il coperchio rallegrato dalla rappresentazione di una giornata estiva nella campagna inglese: nella scena c’erano donne dalle ampie sottane che si riparavano con l’ombrellino e passeggiavano tra gli alberi e tra quegli alberi Mansur si immaginava di gareggiare insieme ai suoi amici.

Si stava affacciando ai dodici anni quando suo padre gli ha tagliato le trecce; la fortuna aveva girato per il verso giusto facendo guadagnare a Salman centinaia di talleri d’argento con un affare inaspettato. Athurayya ha aperto le porte di casa ai bisognosi: le pentole dondolavano sopra il fuoco e per tutta la mattinata le donne delle famiglie più povere accorrevano da loro, pesavano la farina, impastavano il pane, mondavano e cucinavano il riso finché, nel pomeriggio, tornavano a casa portando con sé il pane, il riso e scodelle piene di yogurt.



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